Raffaello Sanzio (Urbino, 28 marzo o 6 aprile 1483 – Roma, 6 aprile 1520) è stato un pittore e architetto italiano, tra i più celebri del Rinascimento italiano.
Trionfo di Galatea
Il Trionfo di Galatea è un affresco (295×225 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1512 circa e conservato nella Villa Farnesina di Roma.
Il ricchissimo banchiere Agostino Chigi si era fatto costruire tra il 1509 e il 1512 una sontuosa villa “di delizie” da Baldassarre Peruzzi, su un terreno circondato da giardini tra via della Lungara e il Tevere, detta in seguito “della Farnesina”.
La decorazione pittorica fu avviata prestissimo, via via che gli ambienti erano completati, e interessò alcuni dei migliori artisti attivi a Roma, tra cui, oltre al Peruzzi stesso, Sebastiano del Piombo, il Sodoma e Raffaello.
Al Sanzio, impegnato in quegli stessi anni a decorare la Stanza della Segnatura e la Stanza di Eliodoro in Vaticano per Giulio II, venne affidato un affresco a soggetto mitologico nella sala cosiddetta “di Galatea” al pianterreno della villa. L’opera, di forma rettangolare e dedicata appunto al trionfo della ninfa Galatea, si trova sotto una lunetta di Sebastiano del Piombo e fianco del Polifemo dello stesso artista; lo schema architettonico dipinto e il soffitto sono invece opera di Baldassarre Peruzzi e la sua scuola.
Probabilmente le pareti dovevano essere decorate, nei piani iniziali, da altre scene della storia della ninfa, mai completate: per questo i due affreschi esistenti non raffigurano gli eventi principali delle sue storie, ma solo l’apoteosi alla quale guarda, impotente, Polifemo dal riquadro attiguo.
La scena era sicuramente completata o comunque in uno stadio avanzato nel 1511, quando venne già descritta nel De viridario Augustini Chigi libellus del Gallo, pubblicato quell’anno. Baldassarre Castiglione fu estasiato dalla perfezione della Galatea di Raffaello, chiedendogli quale fosse stata la sua modella, avendo come risposta “nessuna”, cioè che la fanciulla era semplicemente frutto di una sua idea.
L’affresco, in passato ritenuto in parti più o meno significative di mano di aiuti, in particolare Giulio Romano, dopo i restauri novecenteschi che hanno rilevato le ridipinture seicentesche, viene indicato come pienamente autografo di Raffaello.
DESCRIZIONE E STILE
Fonte della rappresentazione fu Teocrito (Idilli) o Ovidio (Metamorfosi), magari filtrato dal Poliziano, o Apuleio (Asino d’oro). L’affresco mostra l’apoteosi della ninfa che cavalca un cocchio a forma di capasanta trainato da due delfini e guidato dal fanciullo Palemone, circondata da un festoso corteo di divinità marine (tritoni e nereidi) e vigilata, in cielo, da tre amorini che stanno per scagliare dardi amorosi contro di lei. Un quarto putto, a cui è rivolto il casto sguardo di Galatea, tiene un fascio di frecce nascosto dietro una nuvola, a simboleggiare la castità dell’amore platonico.
La posa statuaria della ninfa, in torsione verso sinistra, ricalca in un contesto laico e mitologico quella della Santa Caterina d’Alessandria, riferibile al 1508 circa.
La composizione è perfettamente misurata, con un ritmo danzante e vorticoso, dominato da Galatea avvitata su sé stessa. Riprendendo forse modelli antichi (come un bassorilievo con un Coro di Afrodite oggi nei Musei Capitolini), Raffaello ricreò una mitica classicità, utilizzando toni cristallini e preziosi, quasi irreali, che tradiscono una conoscenza già approfondita della pittura romana antica. Sul verde marmoreo della superficie del mare spicca il rosso “pompeiano” della veste di Galatea.
Il movimento del manto gonfiato dal vento, accompagnato da quello dei capelli, è ripreso dal gesto della vicina nereide, che solleva un braccio mentre è rapita da un tritone. I corpi possenti delle figure dimostrano influssi di Michelangelo, addolciti però dal senso della misura del Sanzio e dalla dolce naturalezza dei suoi personaggi, tra cui spiccano soprattutto gli amorini, ma anche la stessa Galatea, serena e aggraziata.
Massimo Lato