RAFFAELLO A ROMA – LA STANZA DI ELIODORO (1511-1514) MUSEI VATICANI
La Stanza di Eliodoro, era l’anticamera “segreta”, cioè privata, dove il Papa si incontrava con singole personalità venute in udienza.
Il nome deriva da uno degli affreschi delle pareti, che sono composte da un grosso lunettone, su cui è impostata una volta a crociera. Il tema unitario degli affreschi è quello della miracolosa protezione accordata alla Chiesa, minacciata nella sua fede.
La volta ha al centro un medaglione con lo stemma di Papa Giulio II, come nella stanza delle Segnatura, circondato da arabeschi a monocromo su sfondo dorato intervallate da finte borchie dorate. Attorno si sviluppa un anello figurato, diviso diagonalmente in quattro scomparti con storie che simulano arazzi appesi con finti chiodi e anelli tra le cornici. Le scene rappresentate sono il Sacrificio di Isacco, il Roveto ardente, la Scala di Giacobbe, l’Apparizione di Dio a Noè.
L’affresco della cacciata di Eliodoro raffigura un episodio del Secondo libro dei Maccabei (2 Mac 3,7-40): Eliodoro viene inviato dal Re Seleuco a depredare i beni del Tempio, ma è miracolosamente impedito nelle sue intenzioni dall’apparizione improvvisa di un cavaliere e di due giovani, inviati da Dio.
La scena, ambientata in una basilica con la lunga navata in scorcio, dalle membrature architettoniche dorate, ha una configurazione dinamica, con il cavaliere invocato dal cavaliere al centro, Onia, che irrompe a punire il profanatore Eliodoro, inviato dal re Seleuco IV Filopatore.
Assiste alla scena a sinistra, sulla portantina, Giulio II in persona, proprio come si assisterebbe a una rappresentazione teatrale. La pacata serenità della Scuola di Atene appare già lontana, e la drammatica azione punta a coinvolgere emotivamente lo spettatore. Se nella Stanza della Segnatura tutti i personaggi avevano movenze sciolte e naturali, qui iniziano a comparire quelle torsioni e quelle esasperazioni gestuali che, ispirate da Michelangelo Buonarroti, preannunciano il manierismo.
Sotto l’affresco un graffito ricorda la morte del Conestabile di Borbone, avvenuta durante il Sacco di Roma. Le Stanze conservano numerosi graffiti, molti dei quali riferibili al terribile Sacco del 1527, durante il pontificato di Clemente VII, che vide i lanzichenecchi dentro il Palazzo apostolico e, quindi, nelle stesse Stanze di Raffaello appena dipinte.
La Messa di Bolsena racconta il miracolo eucaristico di Bolsena, a cui il papato era storicamente molto legato, poiché avvenuto in un momento di forti conflitti dottrinali sul mistero dell’incarnazione del Corpus Domini. Raffaello creò una scena bilanciata con cura, con una contrapposizione tra il tumultuoso gruppo di fedeli a sinistra, sottolineato da strappi luministici, e la pacata disposizione cerimoniale dei personaggi della corte papale a destra, dalle tonalità coloristiche calde e corpose.
Davanti al sacerdote celebrante è inginocchiato Giulio II, in tutta la pompa della sua posizione, con i gomiti appoggiati su un voluminoso cuscino con nappe agli angoli, retto da un mobiletto pieghevole con intagli leonini.
In basso alcuni sediari pontifici attendono seduti.
La scena della Liberazione di San Pietro è composta da tre episodi concatenati, ma fortemente unitari, e tutta giocata sui contrasti di luce, tra l’ambientazione notturna e la visione luminosa dell’angelo divino.
Il primo Papa, soccorso e portato al trionfo nel momento più difficile delle sue tribolazioni, è raffigurato al centro nel carcere soccorso dall’angelo.
A sinistra un gruppo di guardie, nelle cui armature si accendono i riflessi dell’apparizione sovrannaturale e delle fiaccole, assiste impotente alla scena.
A destra Pietro è già libero, condotto per la mano dall’inviato divino attraverso una scala dove tutte le guardie sono addormentate, in un’atmosfera irreale, tra sogno e realtà.
La rottura dello schema simmetrico e bilanciato è particolarmente evidente nell’episodio dell’Incontro di Leone Magno con Attila, dove le due forze in campo si scontrano frontalmente.
Leone Magno si recò effettivamente incontro ad Attila e lo indusse a non devastare Roma (Roma era ancora sotto il controllo imperiale, ma già il pontefice ne era effettivamente difensore). L’incontro avvenne a Mantova nell’anno 452, ma è rappresentato alle porte di Roma – sullo sfondo si vede il Colosseo ed un tratto degli acquedotti dell’urbe.
A destra si slanciano tumultuosi gli Unni, tra incendi e rovine sullo sfondo, arrestati dall’eloquente apparizione degli apostoli armati in cielo.
a sinistra procede ordinato e pacato nella sua infallibilità il pontefice col suo seguito.
Nel corso della realizzazione dell’affresco Giulio II morì e divenne Papa Leone X che è così rappresentato due volte, come cardinale e poi come papa, sulla mula bianca.
Sullo sfondo la città eterna.
Massimo Lato